La mancanza di coordinate costringe talvolta l'individuo a prelevare dal suo passato cose, persone e vicende da proiettare nel presente e renderle punti di riferimento anche per il tempo a venire. Abbinando immagini familiari degli anni andati con quelle più vicine, Giorgia Beltrami le innesta in ambienti che denunciano il cambiamento epocale, segnato talora dalla simbologia del colore, l'arancione innanzitutto. Il lavoro dell'artista parte da un'analisi puntuale del proprio album di famiglia o da quello di conoscenti, in cui va a reperire motivi da trasporre poi sulla tavola. Qui, dopo un lavoro paziente fondato sulla tecnica del restauro, fa entrare la grafite e l'olio in una simbiosi operativa, capace di conciliare la tradizione del fare e un certo gusto minimale, che crea effetti dialettici di straneamento e affetto, di partecipazione e di lontananza, con una logica compositiva che congiunge ieri e oggi in un'unica dimensione temporale. Giorgia Beltrami è consapevolmente radicata nell'ambiente in cui vive, l'Emilia, di cui analizza i risultati prodotti dal progresso sul paesaggio (per lo scatto evolutivo da rurale o industriale a residenziale), stravolgendo per molti versi un'identità che va sfumando i connotati di natura umana, sociale, architettonica. Il dittico mostra proprio, a livello di didascalia provocatoria, i due volti di realtà che dialogano in un confronto anche conflittuale. Il taglio dell'immagine all'altezza degli occhi rinvia lo sguardo dell'osservatore su vari elementi del quadro, che diventano icone di un'era o simboli di un sentimento d'appartenenza. Ma il volto mantiene intero il suo carico espressivo e richiama a questa funzione anche gesti e atteggiamenti delle persone ritratte.